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Édith Piaf – L’usignolo non canta più
di Melania Giglio

con Melania Giglio, Martino Duane
Regia Daniele Salvo

Siamo nel 1960, nell’appartamento di Édith. Una serie di eventi si sono susseguiti nella vita di questa piccola donna: lutti, incidenti, amori, liti, solitudine, alcol, gioie, successi e canzoni. Tutto si è abbattuto sull’usignolo come un uragano. L’usignolo non canta più. L’artrite l’ha resa gobba, l’alcol e i medicinali l’hanno resa gonfia e senza capelli, i lutti hanno ferito la sua voglia di vivere. Ma improvvisamente qualcuno bussa alla sua porta e arriva a profanare questo “buio”. È Bruno Coquatrix, l’impresario dell’Olympia. Lo spettacolo ripercorre attraverso un testo inedito e mai rappresentato i giorni che precedettero la storica esibizione di Édith Piaf sul palco dell’Olympia, dalla fine del 1960 sino alla primavera del 1961. Questo racconto, arricchito da canzoni eseguite rigorosamente dal vivo (tra le altre L’accordéoniste, La vie en rose, Milord), vuole essere un omaggio a una delle voci più belle e strazianti della canzone moderna.

Note di regia
Scriveva B. Pasternak: «Il talento innato è una via che conduce al futuro. È un modello infantile dell’universo, di un universo fondato sin dalla tenera età nel nostro cuore, una specie di libro di testo per capire il mondo dal di dentro, dal suo lato migliore e più fulgido. Questo dono insegna l’onore e il coraggio, poiché rivela quale favolosa importanza abbia l’onore nel sentimento drammatico dell’esistenza. Un uomo di talento sa quanto si arricchisca la vita in una piena e giusta illuminazione e quanto perda nel buio. L’interesse personale gli impone di essere orgoglioso e di perseguire la verità. Questa posizione può significare nella vita anche la tragedia, ma questo ha un’importanza secondaria.» Édith Piaf portava in sé questa scintilla, questa meravigliosa fiamma inesauribile e dolorosa. Vogliamo ricordarla con semplicità e nitidezza. Non vogliamo imitarne le movenze o copiarne l’esteriorità. Tentiamo invece di avvicinarci alla sua anima con levità mozartiana, di raggiungere il centro del suo petto per evocare per un istante, con attenzione e rispetto, il suo incredibile talento. Oggi più che mai, in questi anni vuoti di impulsi e necessità, abbiamo bisogno del suo calore, della sua luce, della potenza della sua voce e del battito del suo piccolo cuore che ancora oggi, anche se non è più, batte instancabile. E quel suo piccolo cuore non si fermerà mai.
Daniele Salvo

Scene: Fabiana Di Marco
Costumi: Giovanni Ciacci
Assistente alla regia: Luigi Di Raimo
Assistente volontario: Alessandro Guerra
Organizzazione generale: Marioletta Bideri
Una produzione BIS Tremila di Marioletta Bideri

ESTRATTI RASSEGNA STAMPA
“La generosità di un interprete (con apostrofo o senza) si capisce da come si mette al servizio del ruolo. Ovvio, viene da dire, ma nemmeno poi tanto. Perché può anche succedere che si usi il ruolo per fare lo show di sé stessi, per cedere al virtuosismo, al tecnicismo, con il rischio di allontanarsi dal cuore. In genere il pubblico se ne accorge. Come si accorge quando ha di fronte un atto di amore. Quello di Melania Giglio per Édith Piaf è un atto d’amore.”
Alessandra Bernocco, dramma.it

“A parte la presenza discreta di Martino Duane che è Bruno Coquatrix lo spettacolo è un tesissimo e impegnativo assolo di Melania Giglio che ha scritto anche il testo dove si rappresenta non solo una follia, ma la vertiginosa discesa di una grande donna, e in scena partecipe in modo profondo col personaggio a cui regala tic, gesti, dettagli di una identità nervosa, brava quando canta e quando recita. Per lei Daniele Salvo, il regista ha predisposto una ambientazione semplice e realistica, il salottino di casa Piaf, inizialmente avvolto nella nebbia dei ricordi poi sempre più nitido e vero.”
Anna Bandettini, blogautore.repubblica.it, 11 dicembre 2017

“Quando l’attrice Melania Giglio, prima in controluce, infine a luce piena, dialogando con i riflessi di uno specchio che ne cattura l’anima tormentata, interpreta La vie en rose e Je ne regrette rien, il pubblico si chiede: da quale abisso sale questo canto? Il velluto nero del vestito. La voce che esce dalle viscere. L’immagine di Cocteau si riafferma nella prima e nell’ultima scena dello spettacolo diretto con anacronistica eleganza da Daniele Salvo. Édith è qui con noi come è giusto che sia. Un artista non dovrebbe mai imitare, ma ricreare, mantenersi sulla soglia tra l’essere e non essere il personaggio, ed è quello che fa Melania Giglio, anche autrice di questo testo inedito presentato in anteprima nazionale.
Katia Ippaso, Il Messaggero 7 dicembre 2017

“L’estrema linearità della drammaturgia denuncia l’esclusiva finalità di un rispettoso omaggio alla grande chanteuse. Si astiene da una rilettura del personaggio, la sua biografia tormentata non la necessita, ma soltanto lo racconta. La Giglio non esita a farlo in modo affettuosamente irriverente, mostrando le bizze di una personalità temperamentale e paludando la sua Piaf abbrutita dall’isolamento in vestaglia e pantofole di un improbabile rosa, mentre Martino Duane impone la sua intensità, rivendicando la funzione necessaria che il suo personaggio ha nella narrazione. […]Gli attori, il regista hanno fatto un passo indietro per lasciare il centro della scena ad Èdith Piaf. Chi vorrà omaggiarne il ricordo sarà emotivamente trasportato, partecipando della loro stessa devozione. Ma così pure chi crede, come Melania Giglio, che l’arte sia salvifica e che il canto, vincente, possa emergere comunque dal buio.”
Valter Chiappa La Platea, 29 novembre 2017

“La Giglio ha scelto di rappresentare di questa cantante speciale non solo la voce quanto la sofferenza, fisica e morale, che ne segna l’intera esistenza. Non rappresentazione realistica, documento narrativo, ma traccia lieve e su cui si innestano le canzoni che ne hanno segnato gli amori, le perdite, le speranze. E la regia di Daniele Salvo rende visive le situazioni che si animano in quello spazio esistenziale, con mano leggera e intuizioni poetiche[…]Melania Giglio si è nascosta dentro Edith secondo una cifra che la rivela ma al tempo stesso la rende autonoma da biografismi.”
Maricla Boggio Critica teatrale, 29 novembre 2017