- SPETTACOLI /9 GENNAIO 2019, h. 21
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SEZIONE ESPLORARE generazione contemporanea
MM Contemporary Dance Company: “Pulcinella” di Michele Merola
Compagnia AltraDanza: “Sogno…” di Domenico Iannone
La prima rappresentazione del balletto Pulcinella è all’Opéra di Parigi, nel 1920, ad opera dei Ballets Russes di Djagilev; le musiche, di Igor Stravinskij, sono ispirate da pagine di G. B. Pergolesi e di altri autori del ‘600 e ‘700. A pagine danzanti di per sé, come tanta musica del ‘700, il compositore imprime il proprio segno: in sintonia con il soggetto, ne fa una garbata caricatura, celebrata per ricchezza di ritmi e freschezza di armonie, esaltata da Leonide Massine, coreografo, e Pablo Picasso, per scene e costumi. Nel realizzare la propria versione, Michele Merola rispetta il passato, e i grandi capolavori prodotti sul tema, ma si muove per una propria strada.
La colonna sonora è composta da alcuni brani del balletto e dalle “escursioni” realizzate dal compositore Stefano Corrias. La contaminazione della partitura originale è dettata dall’esigenza di disporre di momenti più intimi, più scarni dal punto di vista musicale, per poter chiarire chi sia veramente Pulcinella: il coreografo ha voluto mettere in evidenza in questo lavoro il versante solitario, malinconico e drammatico dell’alfiere napoletano. “Pulcinella – dice il coreografo – è una persona, è un immagine, è un pensiero anche di solitudine. È un pensiero che non muore mai, infatti nella coreografia questo personaggio sembra morire più volte, ma poi sempre si rialza, segno della sua continua possibilità di rinascita, perché la libertà che porta in sé Pulcinella, tutto quello che è nuovo, tutto quello che è libertà, tutto quello che è verità potrebbe essere soffocato, ma sempre torna a vivere.” Nel bianco e nero predominante dei costumi e della scena, compare solo una punta di rosso: è Pulcinella, il cui cuore batte al di là di ogni tentativo di farlo morire, e continua a pulsare, nel bene e nel male, nel bianco e nel nero.
Cosa resta, in questo balletto, della sua prima edizione? Ridotta all’essenziale la vicenda, ed eliminati i personaggi accessori, restano Pimpinella, la giovane amata da Pulcinella, il Mago, che usa la luce come guida per trovare una via di uscita nel percorso della storia, e le due coppie di amanti. Il coreografo non ha voluto infatti seguire la trama costruita nel 1920, ma si concentra sulla personalità del protagonista e sulle vicende principali, che ruotano attorno a lui: il suo amore per Pimpinella, la presunta morte, il finale, simbolo di rinascita. “La scena conclusiva – dice Merola – in cui Pulcinella indossa di nuovo il suo cappello, che tante volte ha all’interno dello spettacolo, ma che spesso si toglie per essere simile al resto della società, simboleggia la sua scelta: si rende conto che essere come la società lo vorrebbe non lo porta da nessuna parte, e quindi sceglie di essere se stesso, sceglie la verità”.
“Chi song’ je? Songo ‘nu penziero!”
“Chi sono? Io sono un’idea!”
“Pròpeto chisto è ’o punto: je songo ‘na idea senza ’a cosa”.
“Questo è il punto: io sono un’idea, di cui manca la cosa”.
“Tiene ment’ a ‘sta mascara: nun vide ca je maje rido e maje chiagno o – pe’ meglio parlà – accussì forte astregno ‘nzieme ’sti ddoje cose ca cchiù nun se po’ dicere: ‘E’ chesta!’…’E’ chella!’”
“Guarda bene la mia maschera: non vedi che non rido e non piango mai – o, piuttosto, tengo le due cose così strette insieme, che non è più possibile discernerle?”
“’O ppassato, ‘o ppassato… A che te serve ’o ppassato? Je maje l’aggio avuto – chesto vo’ dicere ‘stu cammesone janco -, pure si ggià tre vvote song’ muorto: sparato, ‘mpiso e de vecchiummaria”.
“Il passato, il passato… A che ti serve il passato? Io non l’ho mai avuto – questo significa il mio camiciotto bianco -, anche se sono morto tre volte: fucilato, impiccato e di vecchiaia”
“Aggio ’ntiso. Tu vuo’ l’aternità e ssaje ca je aterno song’. Pe’ chesto ‘na vota m’haje pittato comme a ‘nu Giesù Cristo”.
“Ho capito. Tu vuoi l’eterno e sai che io lo sono. E’ per questo che una volta mi hai rappresentato come Cristo”.
“Mò ‘nce capimmo. Viva era ’a vita mia quann’ mun ‘a vivevo. Pe’ chesto je nun tengo memoria. Dicimmelo accussi: ‘e ccarte meje so’ sempe ‘n faglia e venco ogne jucata. Sulo ’a mascara mia è ‘a faccia overa”.
“Adesso c’intendiamo. Io ho vissuto solo quello che non ho vissuto. Per questo manco completamente di carattere. E di memoria. Diciamo così: non ho le carte e vinco ogni giocata. Sotto la mia maschera non c’è nessun volto”.
da Giorgio Agamben, Pulcinella ovvero Divertimento per li ragazzi, ed. Nottetempo