Ragù

Alle radici del popolo barese
attraverso una lunga e meticolosa ricerca.
Quarant’anni di interviste e testimonianze
trasformate in un esilarante e coinvolgente Recital-Spettacolo
in programmazione dal 1990 con oltre 1600 repliche

Alcune testimonianze

UNA SERATA ALL’ABELIANO di Pasquale Sorrenti

Vito Signorile, prestigioso attore e regista barese, ha voluto donarci una deliziosa serata nel suo cresciuto teatrino diventato ormai un prezioso punto di riferimento culturale della nostra città. Ci torna alla mente il delitto di sconosciuti profanatori (ci auguriamo di altri pianeti) che hanno distrutto il Teatro Petruzzelli e schiaffeggiato l’intera città. Ma parliamo della stupenda serata all’Abeliano e della magicissima “lettura” di alcune delle più belle pagine di poeti del dialetto barese, a cominciare dal nume tutelare, dal creatore del dialetto, almeno in senso linguistico, come deve considerarsi il sommo Francesco Saverio Abbrescia che bontà sua ha scritto una poesia, “A le puete”:
“J non zacce fa vijrs’all’andrasatte / non zò puète che llu caj e lla / Vu tenite la Muse e j la gatte,
E de fame la tazze ‘ndesecà / Chiù m’allècche le mane e chiù la sbatte / quanne sckàme le digghe: scettrà; ca ce tene le dogghie e fasce ‘ngnaue / rassemegghie alla vosce du diaue”.
che dice tutto di questo poeta grande e senza arie, che ha aperto la serata.
Vito Signorile ha assecondato la poesia abbresciana con grande precisione, ironia, magica coloritura salutata da calorosi applausi. Dopo l’Abbrescia, ma solo perché è il padre del dialetto barese, bisogna parlare del Savelli, certamente il più letterato degli autori baresi che ha tradotto e pubblicato l’intera Commedia dantesca, rispettando metrica, lingua, pensiero, nobiltà dei due dialetti e non cedendo a lusinghe, scavando nel profondo per meglio rendere vocaboli, espressioni, sentimenti che Vito Signorile ha reso poi con grande naturalezza. Si sa che il dialetto alimenta la lingua ufficiale che spesso non riesce ad esprimere pienamente il vero senso di una parola o di una frase dialettale. Altro lavoro esemplare è stato quello di Vito Carofiglio che si è cimentato con il Re Lear, pezzo non certo di facile traduzione che è stato arricchito da Signorile con la sua recitazione ricca di sfumature e delicatezze ma anche colorita da forti tinte alla Zacconi. Per noi che conosciamo Vito Signorile da 20 anni e Vito Carofiglio dai pantaloni corti ne conosciamo anche l’alta levatura intellettuale, è stata una grande soddisfazione e un motivo di orgoglio. Anche le due traduzioni leopardiane di Giuseppe De Benedictis (Giudebbe), “A la luna” e “L’Infinito” hanno un loro pregio, certamente non sfigurabile dato il peso che ha Leopardi nella storia della poesia. Signorile ha quindi legato tre periodi importanti della letteratura consegnandoci con esattezza i toni misterici del Medio Evo Dantesco con le chiavi simboliche della profondità occulta; la lucida follia del Lear Shakespeariano; la dolcezza amara della solitudine leopardiana. ‘Calarsi’ nelle tre ere non è stato certo lavoro da niente e, volendo scherzarci sopra, potremmo dire che Vito l’ha fatto con ‘signorilità’, da maestro consumato, meritandosi ampie lodi da mattatore con grande personalità. E veniamo ora agli altri poeti di questo recital d’eccezione: Antonio Nitti (Recque de Cole), con la sua delicata “La zengre”; Davide Lopez, con “Le vermiciedde”; Nicola Macina (Nicmac) con la pungente “Na lite jind’a la vorse”; Giuseppe Capriati con “La zite ascennute”; ”Vito De Fano, con “Sande cannite”; Giuseppe Lembo, con “La preguature de Don Cicce”; Vitantonio Di Cagno, con “La lambare”; Vito Barracano con “Notte a mare”; Alfredo Giovine, con “Te vegghe e non d’afficche” e “Abbrile”; e dulcis in fundo Vito Signorile con la sua raccolta di canzoni, di nenie, di proverbi, che ha mostrato una verve brio-maliziosa di buonissima lega. Serata a dir poco entusiasmante che coinvolse l’intera gremita sala e che finì in un’orgia di applausi per l’attore regista, per i poeti, per i tecnici, per il pubblico, il tutto condito con un assaggio di strascenàte, lepìne, ciggerre e mmiere de cudde buéne de le vigne nòste. L’arte, la poesia accoppiata al vivere bene, a misura d’uomo, non guasta in un’epoca come la nostra dove il ‘si salvi chi può’ è all’ordine del giorno. Dunque, ben vengano queste serate ad alto livello artistico e liberatorie.
Un grazie a chi si prodiga per esse.

CARO SIG. SIGNORILE di Alfredo Giovine

Le faccio pervenire il mio più caloroso applauso per l’interpretazione da Lei data alle canzoni e poesie dialettali riflesse baresi dell’ultimo programma realizzato al Teatro Abeliano.
È stata un’altra occasione che aggiunge molti meriti alle Sue note benemerenze di messaggero sopraffino della nostra poesia.
Un messaggero dall’anima ardente capace di infiammare il cuore dello spettatore.
L’interpretazione dell’ultimo “pezzo” basterebbe per dimostrare come Lei possegga anche sorprendenti doti espressive di potenza drammatica.
In questo modo il mondo fatato della poesia dialettale barese non piomberà nel buio se una stella lucente sarà lì a illuminarlo. È la stella Signorile.
Una stella che non ce l’ha nemmeno “Rio Bò”.
Un abbraccio.

LA PUGLIA DI VITO SIGNORILE di Giuseppe Schito

La sofferenza dell’uomo più che l’allegria ha incoraggiato i pugliesi a cantare. Nella densa vegetazione di ulivi, vigneti, mandorli, fichi, tra il grigio dei muretti a secco e le immense pianure di grano che ondeggiano verso il mare verde azzurro, contadini, braccianti e marinai hanno cantato per secoli tristezze, speranze e illusioni. Quando non è esplosa nella rabbia, la sofferenza del popolo pugliese ha sempre toccato i vertici della dignità: dignità della presenza, della paura, della pazienza, del rispetto (per la donna amata), del dispetto (per i massari amministratori di anime e di acqua).
All’amore non corrisposto il giovane ha ostentato la serenata caustica, il verso eloquente, non privo di umorismo, quasi surrealista.
Vito Signorile, in tempi di quaresima culturale, è andato a cercare canti del riposo, villanelle, serenate, stornelli, canti a dispetto, filastrocche che si perdono nella notte dei tempi. L’eccessivo rigore di Signorile, attore e regista (oltre che cantautore), anche nella realizzazione del disco “Bevete Puglia” si è rivelata provvidenziale.
Non si è mai eccessivamente esigenti quando le autenticità desiderate non sono cedute in «ostaggio» ai facili manipolatori e improvvisatori del prodotto artistico. E “Bevete Puglia” ha fatto il giro del mondo assumendosi la paternità dei canti tradizionali sul vino pugliese. Così come “Pugliata” ora si presenta a coronare anni di ricerche di un provvidenziale lavoratore della cultura che, come pochi, intende la vita un «lavoro» che si fa in piedi. “Pugliata” è la disposizione del mondo pugliese nel tessuto musicale, un mondo posto di fronte a sé stesso con la sensibilità degli umori e la riflessione sulla condizione antica dell’uomo. Vito Signorile è riuscito a cantare della Puglia i sogni e le illusioni, le amarezze e i dolci incanti; ha ripercorso il silenzio ed il buio, i rumori, i paesaggi, i gesti che assumono, volta per volta, un tempo ed uno spazio nuovi e sorprendenti. Lo spazio e il tempo di Puglia sono l’equazione di “Pugliata”, un disco, uno spettacolo, che, come il vino primitivo ha bisogno, per essere gustato, di donne vere e uomini veri.