- SPETTACOLI /26 MARZO 2019, h. 21.00
- PER INFORMAZIONI /080 542 7678
Rassegna DAB – Danza a Bari
Teatro Pubblico Pugliese/Comune di Bari
Produzione: Compagnia Abbondanza/Bertoni
Esclusiva regionale
– LA MORTE E LA FANCIULLA
regia e coreografia
MICHELE ABBONDANZA E ANTONELLA BERTONI
con
ELEONORA CHIOCCHINI, VALENTINA DAL MAS, CLAUDIA ROSSI VALLI
musiche
F. SCHUBERT: LA MORTE E LA FANCIULLA
titolo originale DER TOD UND DAS MÄDCHEN
In scena tre differenti “capolavori”:
Uno musicale: il quartetto in re minore “La morte e la fanciulla”.
Uno fisico: l’essere umano nell’eccellenza delle sue dinamiche.
Uno spirituale-filosofico: il mistero della fine e il suo continuo sguardo su di noi.
Come già Matthias Claudius nel testo del Lied e Franz Schubert nel quartetto d’archi in re minore, abbiamo seguito il tema della morte accompagnata a giovani figure femminili sul crinale di un confine oscuro tra sessualità e morte; nello spettacolo questi due aspetti sono così distinti: piano coreografico (la fanciulla) e piano video (la morte).
LA COREOGRAFIA. La danza e la musica di Schubert appartengono al mondo della “Fanciulla”. Sul palcoscenico orizzontale la coreografia, una sorta di stenografia bruciante, segue rigorosamente, fino all’evidenza e all’eccesso, gli impulsi musicali: ottocenteschi e romantici. In questa direzione troviamo i corpi nella loro essenza: privi finanche di quell’ultima copertura possibile, fisica ed emotiva. Nudi, come al cospetto della morte.
IL VIDEO. Nei video diamo l’immagine che “la Morte” ha di noi. E’ uno sguardo sul contemporaneo: sfalsato e distorto, che ci restituisce un presente virtuale in antitesi con l’accadimento “live” della coreografia. Sul palcoscenico verticale (lo schermo), l’occhio della videocamera riflette la visione invadente e sempre presente dell’antagonista delle fanciulle. Il suono è quello silente del velato e inquietante respiro della morte, sospesa tra i quattro movimenti del quartetto d’archi.
La fanciulla: Via, ah, sparisci!
Vattene, barbaro scheletro!
Io sono ancora giovane; va’, caro!
E non mi toccare.
La morte: Dammi la tua mano,
bella creatura delicata!
Sono un’amica, non vengo per punirti.
Su, coraggio!
Non sono cattiva.
Dolcemente dormirai fra le mie braccia!
(Matthias Claudius, testo del lied Der Tod und das Madchen, traduzione di P. Soresina)
Il nostro pensiero torna a posarsi sull’umano e su ciò che lo definisce: la vita e la morte, l’inizio e la fine sono i miracoli della nostra esistenza.
Ci sono argomenti così importanti e trasversali che spesso sono presenti e traspaiono in qualsiasi soggetto si voglia trattare. Sempre il tema del nascere e del morire, del cominciare e del finire, ci ha accompagnato pur nelle multiformi sfaccettature del nostro cercare, immaginare e comporre.
L’impermanenza dell’essere, delle forme che continuamente mutano, fino alla trasformazione finale e definitiva, che così come alla nascita, ci vede protagonisti incoscienti anche di quell’ultimo misterioso passaggio. Questo transitare da una forma all’altra, ha a che fare con l’arte coreutica e alla sua specialità nell’osservazione dei contorni delle forme nello spazio: la danza è portatrice di un tale compito, è essa stessa un balenare di forme che appaiono e scompaiono continuamente trovando il suo senso proprio nella continuità e legamento delle sue immagini; per questo abbiamo indugiato proprio su quell’aspetto che potremmo definire “crepuscolare” della danza, colta, nelle nostre intenzioni, proprio nel suo attimo impermanente e transitorio.
Abbiamo desiderato che il motore primo del lavoro fosse musicale: Der Tod und Das Madchen (La morte e la fanciulla), dedicato ad una “comune amica” dell’uomo, la Morte, lied e il quartetto a lui ispirato, scritto da Schubert nel 1824, all’età di 27 anni dopo essere stato molto male e aver capito che era più vicino alla morte di quanto non volesse credere.
Un esempio di musica che aspira all’infinito e accompagna l’ascoltatore oltre un’idea razionale, verso l’ignoto e il trascendente.
Lontani dalla nostra tendenza di inquadrare in un aspetto drammaturgico le immagini, abbiamo cercato di capire, di aprire, come chirurghi, il corpo della scrittura per scrutarne i vuoti, gli spazi cavi e mai come questa volta comporre è assomigliato a un eterno precipitare, a un fuggire da ogni fine, da ogni senso, come un procedere verso la morte senza mai morire…In attesa di quel momento che Blanchot definirebbe «intimità aperta» tra le danzatrici e gli spettatori, nel cui incontro l’opera può inverarsi.