All’inizio fu la sepoltura in luogo sconsacrato.
Un frammento d’arte per una briciola di pane.
Secondo buon cuore di chi riceveva un sorriso o anche una forte emozione.
Vi è stato poi un tempo in cui gli attori erano “capocomici” e dirigevano con arte assoluta la propria piccola o grande schiera di compagni di scena.
E non lasciavano che altri interessi, magari importanti, magari vitali, prendessero il sopravvento sul fatto artistico.
Il rispetto del pubblico coincideva col rispetto di sé stessi, col rispetto per la propria arte. Poi la tecnologia si è vantata di aver sepolto l’artigianato.
La televisione, regalando notorietà, s’illude di imporre l’apparire sull’essere.
E l’uomo fiutaffari si è inventato capocomico della buon’ora sostituendosi all’uomattore e sostituendolo con ogni persona, animale o cosa produca danaro.
Poi ha compreso l’importanza di controllare l’intero sistema e la sua fantasia sembra non avere più limiti. Aiuto! L’algoritmo bussa alla porta del Teatro!
Una formula matematica vuole regolare le emozioni dell’attore/robot e la qualità delle storie da “raccontare” allo spettatore per privarlo di ogni residuo di emozione e guidarlo gradualmente a convincersi di cose predeterminate da formule matematiche comprensibili solo a chi le inventa.
Ma il fascino dell’attore, che da sempre conquista grandi e piccini, lo rende resistente ad ogni impostura, ad ogni goffo tentativo di affermare surrogati senz’anima, lo rimette puntualmente al suo posto, sul suo trono, al centro della scena.
Abbiamo cominciato 50 anni fa, piccoli artigiani dei sogni, in una città di periferia che è diventata metropoli. Restiamo convinti artigiani di un meraviglioso lavoro che fa ruotare intorno alle emozioni e alla misura d’uomo la propria ragione d’essere.

Tina Tempesta

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