Ci passavo davanti ogni volta che tornavo dall’Università: il bus arancione stipato di persone come sardine sferragliava davanti al capannone di cemento all’ingresso di Parco 2 Giugno, su viale della Costituente. Sul davanti, c’era un’insegna illuminata al neon e fuori, in una nicchia come quelle che si incontrano passeggiando per Barivecchia, le locandine degli spettacoli. Proprio lì sull’uscio, non era raro vedere, attraverso i vetri sudici del bus, un signore che calcava un cappello a falda larga e che scrutava l’orizzonte camminando avanti e indietro con chissà quali pensieri per la testa.
Un teatro? Proprio là? Poi, un giorno la curiosità di studente mi ha portato all’interno di quel ventre ed è anche lì, tra quelle mura, che è iniziata la mia storia di spettatore, lì che ho visto recitare alcuni mostri sacri del teatro italiano e pugliese: Flavio Bucci, Mario Scaccia, Antonio Salines, Chris Chiapperini e naturalmente Vito Signorile, il padrone di casa, quel signore misterioso con il cappello a falda larga e sua moglie, Tina Tempesta.
Quello era il “vecchio” Abeliano, lo spazio che Vito aveva ricavato dal nulla per costruire nel “deserto delle periferie” una casa per il teatro: aveva un palco girevole, i muri chiari e un odore di schegge di legno.
Non avrei mai pensato che qualche anno dopo, meno studente di prima ma con ancora tantissime cose da imparare sul teatro e sulla vita, avrei raccolto la sfida che Vito mi aveva lanciato da pari a pari: scrivere per lui un testo. Pensavo scherzasse, invece faceva sul serio.
Così è andato in scena Blue Bird Bukowski, come se fosse una sfida, sul palco di un “nuovo” teatro sorto nel contesto di una “vecchia” periferia, Japigia: era cambiato l’edificio, ma lo spirito restava lo stesso degli anni in cui le compagnie, a Bari, si contavano sulle dita di una mano e il teatro era politico oppure non era. Nuove poltrone, nuova dotazione tecnica, pedane al posto delle assi del vecchio palco girevole, ma gli stessi cuori antichi che battono all’unisono, forti come il rumore degli applausi. Una storia che si ripete da cinquant’anni ad ogni chiusura di sipario: la magia del teatro Abeliano, re-inventato da quello stregone di Vito, artefice e demiurgo del suo sogno di eterno ragazzo.