Un teatro costretto alla inattività, a platea vuota, neppure frequentato dalla Compagnia di attori residente e dagli addetti nei suoi uffici, è una condizione che di certo non si addice e non si augurerebbe a nessun teatro al mondo.
O perlomeno poteva risultare finora accettabile che così fosse, per forza di cose, per i ruderi archeologici dei teatri dell’antichità greco-romana o per alcuni particolari edifici del ‘700 a struttura ‘all’italiana’ che sono oggigiorno inagibili (tuttalpiù visitabili soltanto per preservarne meglio le fragilità architettoniche).
Eppure da marzo 2020 il mondo della Cultura è fermo e qualsiasi teatro è chiuso al pubblico. Ma il Teatro non si è preso il Covid sebbene sia in quarantena forzata.

E sebbene nessuna stagione teatrale si stia realizzando ancora, un qualche spettacolo comunque si sta compiendo, foss’anche unico ed identico ovunque, e si fa sotto i nostri occhi increduli e perciò pienamente catturati da esso.
Difatti è pur sempre uno ‘spettacolo’ (ovvero un ‘evento da guardare’, di cui essere testimoni silenziosi e composti, un’esperienza trasformativa per chi vi partecipa tanto da performer che da spettatore) il non avere la possibilità sociale di incontrarsi nei vari teatri del mondo per l’ancestrale rito di ‘mascherare la realtà’ (e doppiarla, fino a inventarla fittiziamente) così da trarne il vantaggioso guadagno emotivo/cognitivo che sa migliorarci come esseri umani e come cittadini.

Perciò dobbiamo saper ‘guardare’ così i nostri teatri, ancorché prolungatamente spogli e muti, e ricavare da tali  ‘visioni’ quanto conseguentemente si possa. Sperando certamente che vaccini e decorsi naturali del virus compiano i propri effetti. Ma non perdendo l’occasione storica di consentire che anche il Teatro ‘si vaccini’, si formi i propri anticorpi speciali. Che in altri termini significa: poter riflettere sul suo ruolo culturale e le modalità del suo darsi nel terzo millennio. E, per dirla politicamente, ‘riformarsi’ e rifondarsi come quell’ineguagliato dispositivo comunicativo che è da sempre.

Alejandro De Marzo

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